Pensavo, in queste sere, a qualcosa da dire.
Perché immaginavo che mi sarebbe stato dato il microfono.
In maniera preventiva – e in caso di troppa emozione – ho già inviato a tutti una bella lettera di commiato.
Pertanto,
se dovessi scoppiare a piangere… leggete la lettera sul sito… e siamo a posto.
Ma…
L’immagine che più di ogni altra si è fatta strada nella mia mente è che un anno scolastico, in fin dei conti, è come un parto.
Il lungo travaglio doloroso ci fa soffrire tra riunioni, verifiche da correggere (per lo più nei weekend), GLO e scrutini, arrabbiature, lunghi coltelli nei corridoi, registro elettronico da imparare, ragazzi maleducati da sopportare…
Per non parlare della consapevolezza del poco valore economico-sociale che ci viene riconosciuto: professionisti continuamente criticati, persino picchiati… insomma… da scoppiare!
Quanta sofferenza!
Ma poi… dopo il parto, al termine di un anno scolastico – o, come per me, al termine di una carriera – quello che resta è il bello:
il grazie di un alunno, la soddisfazione di un progetto realizzato, l’arricchimento che viene da chiacchierate informali ma costruttive con i colleghi, la vitalità che nasce da un evento in cortile, gli sguardi affettuosi dei ragazzi, il loro successo formativo e di crescita…
E non parlo dei “sei” che non si negano a nessuno, ma di quando – grazie a noi – cambiano e crescono davvero!
Esattamente come quando ti mettono in braccio il tuo bambino e ti scordi del dolore che hai provato…
Così si compie il bello del nostro mestiere:
scordarsi delle fatiche e cogliere il buono che abbiamo seminato.
Chiudo con una frase che, a sua volta, è la conclusione di una lettera che mi è arrivata tre giorni fa da alcuni miei ragazzi:
“Prof, sappia che ovunque andrà porterà con sé un pezzo di noi.
Grazie di tutto, prof.”
Firmato: i suoi ultimi allievi.
Questo doveva essere il finale.
Ma…
Ieri mattina ho inviato la mia lettera di commiato ai miei compagni del liceo.
E uno di loro, don Francesco, mi ha risposto così:
“Quando l’abate di un monastero benedettino termina il suo mandato, si dice semel abbas, semper abbas.
Cioè: se sei stato abate, resti abate per sempre.
Traslato nel nostro mondo, il carattere di insegnante non si perde neppure andando in pensione.
Un insegnante è per sempre.
Come un diamante.”
GRAZIE.

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